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L’AI come acceleratore della crescita aziendale: imprenditorialità diffusa e nuove competenze

da | 20 Novembre 2025 | Innovazione aziendale

L’AI sta entrando nelle PMI spesso dalla porta degli strumenti: un assistente per scrivere testi, un modello per analizzare dati, un algoritmo che ottimizza turni o scorte.
Ma ridurre l’intelligenza artificiale a “una nuova tecnologia” è l’errore strategico più grande che si possa fare.

Come abbiamo approfondito durante l’evento KIXA di ottobre “Imprenditorialità diffusa e nuove competenze. L’AI come acceleratore della crescita aziendale”, l’AI è prima di tutto un catalizzatore di trasformazione organizzativa: costringe imprese e persone a ripensare ruoli, processi, competenze e leadership.

L’AI non sostituirà l’uomo: lo costringerà a essere più creativo, più strategico, più abile a prendere decisioni in contesti complessi.

Abbiamo raccolto e riorganizzato i temi chiave emersi durante l’evento, per offrire una chiave di lettura chiara e concreta sull’impatto dell’AI nelle aziende:

  • come l’AI sta trasformando le organizzazioni dall’interno;
  • quali sono i tre livelli di impatto dell’AI sul business;
  • quali i rischi e gli ostacoli nell’adozione dell’AI ;
  • quali competenze saranno determinanti;
  • e soprattutto, quali passi concreti può compiere un’azienda per trasformare l’AI in una leva reale di crescita.

Gianni Rodari immaginava una “macchina per fare i compiti”. Molti oggi guardano all’AI con lo stesso approccio: uno strumento che fa “più in fretta” ciò che già facciamo.

Ma la vera discontinuità è un’altra: si passa da sistemi rigidi, programmati con regole if-then a sistemi capaci di apprendere dai dati (machine learning), fino a modelli deep learning e LLM (Large Language Model) che riconoscono pattern complessi e generano contenuti autonomamente.

Con l’ingresso di RAG (Retrieval Augmented Generation) e AI Agent, l’AI non si limita più a rispondere: recupera informazioni da fonti aziendali, integra dati aggiornati, avvia azioni su sistemi esterni.

Quando l’AI entra nelle attività quotidiane di un’impresa, parte dell’operatività viene assorbita dalle macchine, automatizzata, velocizzata; mentre altre attività vengono anticipate grazie alla capacità dell’AI di analizzare grandi quantità di dati e predire scenari possibili. Allo stesso tempo, ciò che rimane in mano alle persone richiede un livello più alto di competenza: non basta più eseguire, serve saper interpretare. I modelli AI possono generare risposte plausibili ma errate, bias o allucinazioni. Per questo il giudizio critico umano diventa ancora più centrale.

In questo passaggio, il valore si sposta dalla produzione di output alla capacità di orientare il processo decisionale. È qui che l’organizzazione cambia davvero: non tanto nella tecnologia che adotta, quanto nel modo in cui le persone sapranno apprendere, valutare criticamente, assumersi responsabilità e guidare le scelte.

I tre livelli di impatto dell’AI sulla crescita aziendale

Le potenzialità dell’AI si dispiegano su tre livelli principali, dal supporto operativo quotidiano fino alla ridefinizione dei modelli di business. Valutare il valore concreto che l’AI può portare all’azienda attraverso tre livelli distinti, è un modello utile per comprendere come cambia il lavoro e, di conseguenza, come può evolvere la crescita dell’impresa.

Il primo livello è quello in cui l’AI assiste: supporta le persone nell’analisi, nell’elaborazione delle informazioni e nella produzione di contenuti, accelerando attività che rimangono però sotto pieno controllo umano. È l’ambito in cui l’AI diventa uno strumento di potenziamento, capace di migliorare produttività e qualità del lavoro senza alterarne la natura.

Il secondo livello è quello in cui l’AI sostituisce o semplifica parti del processo. Qui la tecnologia automatizza fasi ripetitive, riduce il carico cognitivo e consente di liberare tempo da dedicare ad attività a maggior valore. In questi casi il contributo umano passa dalla produzione diretta alla supervisione e al controllo dei risultati generati dal sistema.

Il terzo livello è il più profondo: l’AI trasforma. Non si limita più ad accelerare o alleggerire il lavoro, ma cambia il modo stesso in cui un’attività viene svolta. In questo scenario, la tecnologia diventa un elemento strutturale del processo, capace di ridisegnare flussi, ruoli e dinamiche decisionali.

Da dove iniziare? Un percorso concreto

Durante l’evento è emerso con chiarezza che avviare progetti di AI in azienda richiede un approccio pratico e strutturato.

Il punto di partenza è la (ri)analisi dei processi: capire come funzionano oggi le attività, dove si generano i dati, quali passaggi sono critici e in quali ambiti l’AI può introdurre un miglioramento reale. Solo con questa fotografia iniziale diventa possibile definire obiettivi di performance chiari e delimitare con precisione l’ambito dell’intervento.

Una volta tracciato il perimetro, la priorità riguarda i dati: selezionarli, acquisirli, prepararli e validarli è un passaggio essenziale per poter addestrare modelli affidabili. È un lavoro meno visibile, ma decisivo per la qualità dei risultati.

Il passo successivo consiste nella scelta del modello. In alcuni casi è sufficiente adottare una soluzione già disponibile; in altri è necessario personalizzarla per integrarla al meglio con i propri obiettivi e con i dati aziendali. È un’attività che richiede competenze tecniche e una buona conoscenza dei processi su cui il modello andrà a operare.

Una volta definito il modello, diventa fondamentale integrarlo con i sistemi esistenti e monitorarne il comportamento nel tempo: l’AI è uno strumento dinamico, che richiede supervisione, aggiornamenti continui e un controllo costante dei risultati.

Accanto a questi aspetti tecnici, non possiamo non sottolineare l’importanza della dimensione organizzativa. L’introduzione dell’AI implica valorizzare l’unicità umana, costruire una solida governance e gestire in modo attento rischi e responsabilità.

Serve inoltre un investimento concreto in formazione e change management, per accompagnare le persone nel cambiamento e aiutarle a integrare l’AI nel loro modo di lavorare.

Introdurre in azienda l’AI non significa semplicemente adottare una nuova tecnologia, ma attivare un percorso che coinvolge processi, dati, persone e cultura aziendale. Solo così l’AI può diventare una leva reale di crescita e innovazione.

Oggi l’adozione matura dell’AI nel sistema produttivo italiano è ancora un fenomeno marginale. Solo meno del 2% delle imprese utilizza l’AI come investimento strategico, con un budget adeguato e tempi rapidi di implementazione. Circa il 35% delle aziende si muove invece con un approccio sperimentale, investendo poco e con progetti frammentati o isolati.

L’AI è utilizzata soprattutto nelle funzioni di marketing e vendite, seguite dall’organizzazione dei processi e dalle attività di R&D e innovazione.

Ma il limite principale non è tecnologico: riguarda piuttosto i costi (indicati come barriera dal 49,6% delle imprese) e soprattutto la mancanza di competenze digitali adeguate, che colpisce oltre la metà delle aziende (55,1%).

Il divario è particolarmente evidente nelle PMI, dove solo l’1,4% delle realtà con meno di 50 addetti utilizza l’AI per almeno tre funzioni aziendali, contro l’8,7% delle grandi imprese. Considerando che le PMI rappresentano il 99,3% del tessuto produttivo italiano, la portata del problema diventa evidente.

L’introduzione dell’AI non riguarda soltanto strumenti o software, ma coinvolge l’intera struttura aziendale. Richiede una ristrutturazione organizzativa profonda, una revisione dei flussi di comunicazione, una redistribuzione delle responsabilità e, spesso, la creazione di nuove funzioni dedicate all’innovazione tecnologica.

In questo scenario, la gestione del cambiamento diventa una competenza imprescindibile: è necessario accompagnare le persone, superare resistenze interne, costruire fiducia e diffondere consapevolezza.

Esiste, inoltre, una correlazione diretta tra digitalizzazione e capacità di adottare l’AI: senza processi già digitali, dati strutturati e sistemi integrati, l’AI non può esprimere il proprio potenziale. E qui si innesta una seconda criticità: l’AI impone un livello di competenze molto più elevato rispetto al passato, richiedendo conoscenze multidisciplinari che spaziano dalla tecnologia al business.

Le capacità umane restano quindi centrali.

Decisione in condizioni di complessità, pensiero critico, creatività, capacità di giudizio e flessibilità cognitiva sono indicate – anche dal World Economic Forum – come le competenze fondamentali per lavorare con l’AI. Accanto a queste, emerge una nuova combinazione di saperi: comprensione dei sistemi AI, competenze di data science, gestione di progetti AI, visione di business e capacità di leadership.

Il messaggio finale è chiaro: l’adozione dell’AI non rallenta per limiti tecnici, ma per questioni organizzative, culturali e di competenze.

La qualità dei dati, la crescita delle competenze umane e la capacità di guidare il cambiamento rappresentano le vere leve che permetteranno alle aziende di trasformare l’AI da opportunità percepita a valore concreto.

L’evento “Imprenditorialità diffusa e nuove competenze: l’AI come acceleratore della crescita aziendale” ci ha mostrato un punto essenziale: l’AI non è una scorciatoia tecnologica, ma una leva di trasformazione che coinvolge processi, persone e cultura.

La sfida non è “installare” nuovi strumenti, ma costruire le condizioni perché generino valore: dati solidi, competenze adeguate, leadership capace di guidare il cambiamento.
Le aziende che sapranno integrare questi elementi non solo adotteranno l’AI, ma diventeranno più agili, consapevoli e competitive.

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