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Bisogna essere ingegneri della digitalizzazione
Scritto da Francesca Grego | 6 Novembre 2020 | Innovazione aziendale
Indice dei contenuti
Nella mattinata del 3 novembre 2020, si è svolto, rigorosamente on line, il convegno di presentazione dei risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Un dato emerge su tutti ed è quello previsionale: a settembre si contavano in Italia più di 5 milioni di smart worker e si stima che questo numero sarà confermato anche nel post pandemia.
Il lavoro da remoto si è rivelato una soluzione per conciliare durante la pandemia la salvaguardia della salute e la continuità del business. È altresì vero che l’esperienza vissuta durante il lockdown ha costituito un radicale punto di non ritorno. I lavoratori hanno acquisito una nuova consapevolezza sul modo di lavorare, nuove abitudini e aspettative e per la maggior parte non saranno disposti a tornare alla normalità così com’era concepita prima.
Continuum digitale
Un elemento di riflessione riguarda lo sviluppo di una intera società del lavoro modificata dallo Smart Working. In questi mesi abbiamo scoperto come il lavoro da remoto (non ancora agile) sia stata una risorsa importante per la garanzia della business continuity. Se questo da un lato è vero, dall’altro non dobbiamo dimenticare che il digitale non può essere concepito a silos né all’interno delle aziende né nei rapporti tra aziende.
Le organizzazioni che si interfacciano tra loro devono poter integrare i loro mezzi di comunicazione e trasferimento di dati in un continuum digitale che faccia fluire le informazioni. In questo contesto lo Smart Working potrà realmente offrire efficienza e permettere alle aziende di lavorare tra loro anche in situazioni critiche. Diverso sarà se invece poche organizzazioni decideranno di adottare questa pratica in modo strutturale e in molte rimarranno invece ancora legate a pratiche tradizionali di gestione dell’operatività.
Digitalizzazione strategica
Il lavoro da remoto obbligato vissuto durante l’emergenza e tutt’ora in atto ha messo in luce anche aspetti di fragilità delle nostre organizzazioni. Le grandi aziende possono essere state avvantaggiate da una maggior propensione allo smart working, adottato già in tempi non sospetti. La maggior parte delle piccole e medie imprese, invece, ha sofferto per la mancanza di una dotazione tecnologica adeguata e legata ad assetti organizzativi che non prevedono investimenti nella digitalizzazione.
Su questo tema, interessante è stato l’intervento del dr. Francesco Caio, Presidente di Saipem che ha voluto ribadire come il tema della digitalizzazione delle aziende debba essere affrontato in maniera ingegneristica.
Non è più il momento di considerare la Digital Transformation come un gioco per i giovani. Il tema dell’innovazione deve entrare nell’agenda strategica delle imprese e deve riguardare tre aspetti fondamentali:
- la tassonomia dei dati, ovvero quali sono i dati ad alto valore in un’azienda, quali ne sono le fonti, chi vi ha accesso, con quali livelli di sicurezza;
- architetture: il cloud è una scelta non più rinviabile per abilitare la collaborazione e la comunicazione. Le applicazioni devono essere fruibili allo stesso modo dall’ufficio e da remoto. Per questo sono indispensabili connettività performanti sia per chi lavora in ufficio sia per chi lavora da casa – o qualunque altro luogo – o in mobilità;
- sicurezza: non è un caso che durante il lockdown siano aumentati i casi di hackeraggio. Uno degli investimenti più importanti che le aziende sono chiamate a fare è quello relativo all’accesso sicuro ai dati e alle informazioni.